Colgo l'occasione dell'anniversario per postare un bellissimo racconto amarcord tratto dal forum "padovanità".
Vedete voi se ritenete di spostarlo in qualche altra discussione...
Buona lettura!
Visto che si è parlato dei gemelli del gol “de noantri” Cavestro-Pezzato, ecco un raccontino relativo a quel lontano 1981-82, che dedico quindi a chi è interessato al “vintage”.
PADOVA - TREVISO
Nel maggio 1981 il Padova otteneva la promozione in C1, dopo due anni passati in quarta serie a vivere le entusiasmanti sfide con Rhodense, Mira, Aurora Desio e similari.
Il termine entusiasmante è ironico, ma non troppo: in effetti nel biennio di C2 la squadra mieteva successi e le presenze allo stadio erano tornate quelle degli anni migliori, a testimonianza che quel che importa alla gente è vincere, anche se per interposta persona.
Anche il campionato 1981/82 iniziò nel migliore dei modi ed i neopromossi biancoscudati si attestarono fin dall’inizio nella parte alta della classifica, per poi concludere al 6° posto finale.
La squadra era trascinata dall’esperto bomber Franco Pezzato, detto “Cina” per via degli occhi a mandorla che gli conferivano un vago aspetto orientale. Detto per inciso la Cina era ancora un mondo lontanissimo e sconosciuto, né più né meno che ai tempi di Marco Polo. Neanche Nostradamus avrebbe predetto che nel giro di trent’anni saremmo stati invasi …
Comunque la prima sconfitta di quella stagione maturò a Treviso e quindi, nella gara di ritorno giocata il 21/3/1982, forte era il desiderio di rivalsa.
Con gli amici mi presentai allo stadio all’apertura dei cancelli, in modo da poterci arrampicare sulla muretta che divideva la piccola gradinata nord dal velodromo Monti e poter così assistere alla gara da seduti (piccola riflessione: ci lamentiamo giustamente dell’Euganeo ma a pensarci bene anche l’Appiani non era il massimo. Bella la gradinata distinti, civettuola la tribuna ma ridicole e inadeguate le due curvette. Si vede che in questa città abbiano una predisposizione alle incompiute).
Guadagnata la postazione “privilegiata” in uno stadio ancora semideserto, notammo l’ingresso nella curva opposta di una cinquantina di tifosi dai colori avversari.
Una decina di essi scavalcò la recinzione ed appese alla stessa uno striscione.
Su di esso la scritta HOOLI, poi il volto di un uomo dai capelli lunghi, e infine le lettere GANS, il tutto disegnato con vernice rossa su fondo bianco e azzurro.
Ve lo descrivo esattamente come apparve ai miei occhi di allora tredicenne.
Solo in seguito, dizionario Garzanti italiano-inglese alla mano, scoprii che hooligans era un’unica parola sola e significava teppisti. Così come imparai che il volto raffigurato era quello di Ernesto Guevara, medico argentino rivoluzionario a Cuba ed icona del comunismo internazionale.
Una volta appeso lo striscione, il manipolo di trevigiani attraversò il campo di gioco e si diresse fin sotto la curva di casa. Li guidava un tipo dal viso decisamente antipatico, che ricordo soprattutto per il basco azzurro che indossava. Probabilmente si trattava del loro capo, tale Huberto B. , e la loro intenzione era forse quella di entrare nel nostro settore, approfittando della scarsa presenza numerica degli ultras biancoscudati.
Se non riuscirono nel loro intento fu soprattutto merito di un ragazzo della nostra curva che, tolta la bandiera da una lunga asta, usò quest’ultima facendola mulinare al di sopra della rete di recinzione impedendo così agli avversari di scavalcarla.
Il tutto accompagnato da un fitto lancio di bottigliette di cordiale ed altri oggetti contundenti più o meno improvvisati.
Come detto avevo solo 13 anni ed era la prima volta che vedevo dei veri scontri da vicino. Devo ammettere che, dall’alto della mia postazione, da un lato ero tentato di mettermi al sicuro scendendo verso il Monti, ma sulla paura ebbero il sopravvento l’eccitazione e la curiosità di vedere come andava a finire e quindi rimasi dov’ero.
A mettere fine alla contesa ci pensò un gruppo di celerini, che fece il suo ingresso in campo dalla porta che dava agli spogliatoi. In quegli anni le forze dell’ordine non stazionavano infatti sugli spalti ed i poliziotti forse non si erano nemmeno accorti degli scontri. Probabilmente stavano semplicemente raggiungendo la loro panchina a bordo campo, poiché la loro funzione prioritaria era quella di evitare invasioni.
Alla vista dei celerini la fuga dei trevigiani fu rapidissima ma uno di loro, arrivato nei pressi del lato sud dei distinti si attardò per rubare un gagliardetto biancoscudato appeso alla rete.
Il poveretto aveva sottovalutato la velocità dei poliziotti in divisa verde, che lo raggiunsero e lo sommersero di manganellate, tra l’ilarità generale.
In sintesi avevo vissuto la prima domenica in cui l’emozione per la partita giocata era passata in secondo piano rispetto al contorno della stessa. Anche i successivi derby non tradirono le aspettative…
A MARGHERA PAURA E SCHEI MAI AVUI