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Lo sfascio di Treviso e le colpe dell’amministrazione comunale
lunedì 16 gennaio 2017 - Ore 15:05
E’ difficile assistere senza dire una parola allo sfascio di una società piccola, ma gloriosa e che ha per anni veleggiato in campionati più che dignitosi come il Treviso. Cercheremo di farlo noi, evitando di fare del cerchiobottismo e indicando nomi e cognomi di chi ha portato a questo disastro progressivo. In dieci anni si è passati dalla Serie A all’Eccellenza per colpe e responsabilità precise di dirigenti sciagurati. Tutto cominciò dalle dimissioni dell’amministratore delegato Cima che, quando nel 2005 seppe dell’arrivo (ritorno) in società di Giovanni Gardini, si fece immediatamente da parte. Sapeva, evidentemente, con chi avrebbe avuto a che fare e i fatti gli hanno dato ragione. Gardini ha trascinato all’inferno una società assieme a Ettore Setten, che ha avuto la colpa (gravissima) di farsi prendere la mano affidandosi a dirigenti che hanno pensato esclusivamente al proprio interesse. Colpa estremamente grave, così come è accaduto a Padova a Marcello Cestaro. Imprenditori facoltosi, ma senza la minima capacità gestionale e ostinati nell’affidarsi a collaboratori avidi e senza la minima capacità di condurre il club in acque tranquille, cancellando qualsiasi presa di coscienza di cosa significhi proteggere una società. E così, mentre Carlo Osti, con una gestione oculata, aveva portato il piccolo Treviso addirittura in Serie A, sono bastati due anni di Gardini per condannare allo sfascio il club. Gardini che, per logiche incredibili che premiamo nel mondo del calcio dirigenti che, al contrario, andrebbero allontanati e isolati, ha continuato a fare il bello e il cattivo tempo prima a Livorno, poi a Verona (abbandonando la barca quando stava affondando e dopo aver fatto la guerra a un grande dirigente come Sean Sogliano) e arrivando addirittura nei quadri dirigenziali dell’Inter, con quale ruolo esattamente al di là della carica ricoperta ancora non lo si è ben compreso.
Nel frattempo a Treviso in questi anni se ne sono viste di tutti i colori. Con una gara al peggio che lascia stupefatti (di personaggi assurdi ne abbiamo visti di tutti i tipi, a cominciare da Corvezzo che ancora tesse la tela dietro le quinte, fino a Sartori, Vissoli, Pontrelli che ha tentato di prendere il club, Nardin e Dondi solo per citarne alcuni). E con precise responsabilità dell’amministrazione comunale e dell’assessore Ofelio Michelan, che respinse quella che era considerata quasi come “un’invasione”. Ci riferiamo al momento in cui Lino Diquigiovanni, un imprenditore magari un po’ bizzarro, ma che di sicuro è ed è sempre stato una persona seria, pensò di riportare in alto il Treviso. Come avrebbe meritato. Diquigiovanni, dopo aver capito che il Real Vicenza non aveva alcun senso di esistere (senza tifosi né storia non si va da nessuna parte) aveva proposto di portare nella Marca un titolo sportivo di Lega Pro, presentando un progetto a 360 gradi, che riguardava il Tenni, la sua gestione e il settore giovanile. Siamo pronti a scommettere che oggi il Treviso magari non sarebbe in Serie B, ma veleggerebbe tranquillamente in Lega Pro, mantenendo quella dignità che oggi è finita sotto i tacchi. Magari i puristi storceranno un po’ il naso, ma sfido chiunque a dire che questo sfascio è peggio di quello che sarebbe stato sì, un compromesso, ma che il tempo avrebbe aiutato a digerire. Lo sfascio di chi, con arroganza, ha creduto di poter imporre logiche senza senso e di cui adesso chi ama il calcio nella terra di basket, volley e rugby paga (e pagherà) ancora le conseguenze.