Il bambino che ha deciso di non morire

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enricotv
00domenica 16 agosto 2009 15:16
Storia bellissima a mio avviso, invito tutti a leggerla.

www.gazzettino.it/articolo.php?id=69713&sez=NORDEST

La storia/ Treviso. Il miracolo del bimbo
che aveva deciso di non morire


Il bambino di 6 anni era stato schiacciato da un muletto
Non c'erano speranze. Cronaca di un recupero incredibile

di Luca Bertevello
TREVISO (16 agosto) - Sono le 19 del primo luglio: in un’azienda di Zero Branco il figlio di un noto imprenditore agricolo, 6 anni appena, finisce sotto il muletto che la madre stava manovrando a ridosso del capannone adibito a ricovero degli attrezzi agricoli. Abbagliata dal sole morente, la donna non si accorge che il piccolo è proprio sulla sua strada. Quando se ne rende conto è troppo tardi. Il bambino perde conoscenza, le ferite sono gravissime. È l’inizio di un calvario che sembra dover culminare nell’unico esito possibile: la morte. Ma non sarà così.

A un certo punto sembrava spacciato. Non era clinicamente morto, no, ma nulla dimostrava che fosse davvero vivo, se non il battito cardiaco, indotto, e la respirazione, assistita. Erano scomparsi perfino i riflessi vitali. Le terminazioni nervose, assenti; le pupille, spente, inchiodate nel nulla. La madre aveva già pronto quel vestito da lutto che anni addietro ogni donna teneva da parte in qualche angolo dell’armadio. Veniva indossato quando si riceveva la prima visita della morte e poi conservato sapendo che era solo l’inizio di una serie di incontri che si concludevano con l’invito a ballare in coppia.

Il suo piccolo, di 6 anni, a quell’incontro c’era già. Lui la morte l’ha abbracciata, l’ha potuta toccare, ne ha saggiato l’odore, la consistenza stessa, si è lasciato ghermire, lusingare, trascinare dal suo valzer lento. Ma non ha mai ceduto. Mai. Da tasche segrete ha tirato fuori vari tagli di una valuta preziosissima: la voglia di respingerla. E alla fine ha ricacciato quell’ombra nera nel pozzo da cui era scappata.

Oggi il bimbo e la sua storia si apprestano a diventare un caso clinico, l’emblema di come tempestività, amore, affetto, attenzioni e cure adeguate possano trasformare una partita ormai persa in un trionfo della medicina e della fede. Se è vivo significa che nei 50 mila minuti in cui la sua esistenza è rimasta in bilico, ogni scelta, ogni intervento, ogni singola decisione l’hanno avvicinato un passo dopo l’altro al traguardo supremo, lungo un percorso circondato da precipizi senza ritorno.

Ma tra le pieghe affascinanti di questa vicenda, c’è anche spazio per chi voglia cercare spiegazioni che vadano al di là degli elementi squisitamente tecnici.
I 10 medici e i 25 infermieri che ruotano attorno alla sala operatoria e al reparto di neurorianimazione e neuroanestesia, parlano di evento inusuale e di recupero straordinario, ovvero di tutto ciò che la scienza e la logica possono contemplare. I genitori anche. Ma credono nel miracolo, credono in rosari sgranati e preghiere accolte.

L’unica certezza è che a una settimana dal drammatico incidente nell’aia di casa, quando la testa era rimasta incastrata sotto un muletto in movimento, la sorte di quel bambino era segnata. Adesso è lì che sorride, in pediatria.

Ci pensa lo zio. Il primo elemento decisivo per la sopravvivenza del bimbo è legato alla lucidità dello zio. Mentre il piccolo giace inerte sotto il muletto e il panico sta dilagando fra tutti i presenti, ha la freddezza di precipitarsi verso la grossa scavatrice aziendale con cui, pochi secondi più tardi, riesce a sollevare il carrello elevatore. Ci sono casi in cui lo spartiacque fra la vita e la morte è tracciato da confini fin troppo labili: bastava un attimo ancora e l’enorme pressione che già gravava sulla testa fracassata avrebbe compromesso in maniera irreversibile un quadro clinico già agghiacciante.

Gli angeli del Suem. Secondo elemento decisivo: il pilota dell’elicottero del Suem individua l’area in cui si sta consumando la tragedia e trova uno spiazzo su cui atterrare. Ciò permette agli operatori di intervenire con grande tempestività. Il bambino viene stabilizzato, cioè vengono subito riequilibrati i parametri fondamentali, sia vitali che biochimici, con la somministrazione di sangue, plasma, col controllo della frequenza cardiaca e delle pulsazioni, con l’intubazione. Tutto l’intervento si svolge in perfetta sincronia, con movimenti rapidi, precisi, economici e ruba pochi minuti. Il trasporto al Ca’ Foncello è praticamente immediato.

Ca’ Foncello "ER". Terzo elemento decisivo: una struttura ospedaliera all’altezza della situazione. Se non ci fossero stati i mezzi, il personale, i macchinari e le competenze che l’ospedale trevigiano poteva mettere in campo per questa emergenza, forse l’epilogo sarebbe stato diverso. In ospedale i medici eseguono subito la Tac che conferma le tremende impressioni visive: si trovano di fronte, e ci limitiamo a spiegarlo con la terminologia medica, a un affondamento parieto-temporale sinistro. A destra il cranio è esposto e fratturato fino all’altezza dell’arcata orbitale. Escoriazioni multiple e rottura del femore, in un simile contesto, sono delle sciocchezze. Una generosa dose di farmaci tenta di mantenere la pressione sanguigna a un livello accettabile. Ma la Tac rivela altri due problemi: ci sono detriti di ogni genere e un importante edema cerebrale, cioè un’infiammazione dovuta a un accumulo di liquidi che comprimono il cervello causando l’alterazione del sistema nervoso centrale. Bisogna operare e bisogna farlo all’istante.

Pulizia immediata. Spiega Ennio Nascimben, direttore dell’unità operativa di neurorianimazione: «Anche tralasciando il caso specifico, in una situazione del genere si deve operare nel più breve tempo possibile, soprattutto per pulire la parte lesionata. Quando abbiamo un trauma cranico di questa rilevanza, esiste un cosiddetto danno primario che è quello su cui oggettivamente non possiamo più intervenire. E c’è quello secondario, che potrebbe aggredire i settori ancora integri. Noi lavoriamo su quest’ultimo perché è la chiave di volta che ci permette di preservare il paziente da un radicale peggioramento della situazione. In quasi tutti i casi gravi o gravissimi troviamo nel cervello elementi estranei e potenzialmente letali come paglia, erba, terra, sassolini, schegge, che vanno rimossi alla svelta. Nel caso del bimbo avevamo un timore aggiunto perché dentro il cortile in cui si è verificato l’incidente c’erano anche animali e la presenza di qualche loro traccia biologica poteva provocare un’infezione devastante». Dopo la pulizia, la prima contromisura è stata una forte terapia antibiotica. Poi è stato inserito un sondino per monitorare la pressione endocranica perché il pericolo rappresentato dall’edema è che la pressione può aumentare a tal punto che il sangue non riesce più a circolare.

La situazione precipita. Per una lunghissima settimana il bambino rimane stazionario, sempre a un passo dalla resa. Finchè le minacce intuite all’orizzonte si materializzano quasi tutte come un’onda di tsunami. Dice il dottor Nascimben: «Avevamo due infermieri che lo sorvegliavano notte e giorno e lui stava tenendo duro. L’infezione che si era sviluppata dopo il ricovero, pur essendo molto estesa, era rimasta solo in ambito cutaneo e sottocutaneo, senza mai intaccare il cervello, un evento da considerare eccezionale. Ma quel venerdì sera, con l’edema ancora così importante da mettere a repentaglio la sua vita in qualsiasi momento, sono comparsi indicatori che il quadro clinico si era nettamente aggravato. Da una parte la pressione intracranica continuava a salire, dall’altra sono spariti tutti i riflessi vitali. Ad esempio, le pupille non reagivano più alla luce e questo significa che era in atto una compressione feroce, con enorme sofferenza cerebrale».

Intervento disperato. Quarto elemento decisivo: la decisione critica. L’unica via di fuga era una craniotomia decompressiva. «Abbiamo fatto in modo che il cervello potesse espandersi ma, se devo essere sincero, in quel momento avevamo tutti la netta sensazione che non potesse farcela comunque. Il bimbo era davvero appeso a un filo sottilissimo. Ovviamente non ha mai raggiunto lo stadio di morte cerebrale, come hanno riportato gli organi di informazione, altrimenti non saremmo qui a parlare di quel che è accaduto dopo. Ma c’è andato molto, molto vicino». I giorni successivi sono stati terribili e non soltanto per quanti si erano prodigati attorno al capezzale. Genitori, amici e parenti continuavano a uscire da un incubo per entrare in un altro.

Scelte cruciali. Quinto elemento decisivo: la costanza di un trattamento sul filo del rasoio. Quando tutto sembrava perduto si è aperto un inquietante interrogativo: fino a che punto ci si può spingere con le terapie? «Nessuno di noi ha la verità in tasca -continua Nascimben- Sappiamo soltanto che ci sono dei limiti e che dobbiamo stare attenti a non valicarli ed è per questo che abbiamo frequentissimi contatti con il comitato etico. Può succedere che una terapia troppo aggressiva non sia di beneficio al paziente, anzi provochi addirittura stati vegetativi permanenti. Quando la cura è sproporzionata rispetto ai risultati attesi, la questione va completamente riconsiderata. In questo frangente non potevamo smettere di batterci, ma il limite era stato raggiunto».

Punto di svolta. I numeri, i calcoli, la scienza, non sempre riescono a fotografare la complessità della vita. Dopo le spaventose scariche di adrenalina dei primi giorni, adesso l’emergenza si respira nella quiete, nel silenzio, nel torpore di quel piccolo corpicino che non reagisce alle cure. Quando succede, quando la pressione torna sotto la soglia di allarme e uno alla volta ricompaiono i riflessi, sembra il frutto di un’allucinazione di massa. «Gli abbiamo subito fatto degli esami: si chiamano i potenziali evocati e mirano a stabilire come il cervello recepisce gli impulsi nervosi». Da lì in poi il recupero è stato prodigioso. «Ha reagito in maniera brillante -continua il medico- Sia la qualità della ripresa che i tempi sono state assolutamente fuori dal comune. Basti pensare che a 40 giorni dal ricovero gli abbiamo già tolto la tracheotomia: in casi simili va avanti per mesi. L’altro aspetto incredibile è che con gli enormi danni primari causati dall’incidente, temevamo che potesse avere problemi di afasia sensitivo-motoria perché la zona colpita era quella. Invece ha già ripreso a parlare, è vigile, interagisce e i margini di recupero sono amplissimi. Per un anno e mezzo non potrà che migliorare. Posso confermarlo: in tanti anni non avevo mai assistito a una cosa del genere».

Tutto come prima. Il bambino è stato infine sottoposto a un terzo intervento di carattere estetico, durato 5 ore: tre equipe attorno al tavolo della sala operatoria per ridargli un volto, una fisionomia. L’hanno ricostruito pezzo per pezzo. E non c’è dubbio: tornerà come prima. «Quando ripenso a questa straordinaria vicenda -conclude Ennio Nascimben- mi chiedo se non avevamo sovrastimato i risultati della Tac, se le impressioni iniziali non ci avevano in qualche modo fatto intuire una situazione più grave di quel che era. Andremo a verificare. Ma penso di sapere già la risposta».

Epilogo. Le circostanze hanno giocato a favore. I medici hanno dato tutto. Un milione di tasselli si sono incastrati nel modo giusto al momento giusto. Poi questa creatura, con la sfrontatezza dei suoi 6 anni, ci ha messo un tocco magico. Ha trasformato l’incubo in sogno, una madre straziata in una donna radiosa. E ha perfino cambiato il corso delle stagioni: con l’estate che se ne va, sta facendo fiorire una nuova primavera.

(luca.bertevello@gazzettino.it)


TV DOSSON
00lunedì 17 agosto 2009 07:45
Non mollare mai,la vita e' tutto....
enricotv
00sabato 29 maggio 2010 13:54
www.gazzettino.it/articolo.php?id=104038&sez=NORDEST

Treviso. Era in coma, adesso è rinato:
il piccolo Samuele invita tutti a una festa


Bimbo investito da un muletto guidato dalla mamma. Operato
più volte al cervello, era stato a lungo in condizioni disperate

di Nello Duprè

TREVISO (29 maggio) - «Vi aspetto tutti domenica a casa mia per passare una giornata di festa». È l'invito che Samuele Favaro ha rivolto a tutta la comunità di Zero Branco. Samuele è il piccolo che il 1. luglio dello scorso anno era rimasto gravemente ferito dopo essere stato travolto dal muletto guidato dalla madre intenta ad eseguire alcuni lavori nell'azienda agricola di famiglia in via Binati.

La vita di Samuele era rimasta a lungo appesa ad un filo a causa del grave trauma cranico riportato. I medici del Ca’ Foncello hanno sottoposto il bambino ad una serie di delicati interventi chirurgici al cervello. Le condizioni di Samuele erano disperate. Ma i genitori, sorretti da una forte fede, hanno continuanto a sperare che il loro piccolo potesse farcela. La famiglia Favaro, molto devota a Sant'Antonio, non ha mai smesso di sperare nel miracolo. E di miracolo si è parlato in paese quando, dopo una lunga degenza, i medici dell'ospedale trevigiano hanno giudicato Samuele fuori pericolo. Nel febbraio scorso la famiglia Favaro si è recata in pellegrinaggio alla Basilica del Santo a Padova.

Samuele si è completamente ristabilito, anche se continua a seguire delle terapie riabilitative in un centro di Conegliano. È molto vivace e gioca con il fratellino Federico e con i bambini di via Binati. Domani Samuele sarà al centro dell'attenzione della comunità zerotina che parteciparà numerosa alla festa di famiglia. Numerosa era stata anche la partecipazione nel luglio scorso di parenti, amici, conoscenti e paesani al dolore dei genitori di Samuele. Tutte le sere la gente si era riunita per recitare il rosario e per invocare il miracolo. La festa di domani inizierà alle 9,30 e proseguirà fino a sera. Sarà presente anche il Gruppo Alpini che gestirà la parte gastronomica della giornata del ringraziamento.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
TV DOSSON
00sabato 29 maggio 2010 19:50
Lottare sempre,mollare mai,Grande Samuele! [SM=x397209]
Il custode della cripta
00sabato 29 maggio 2010 20:12
Proprio in questi secondi sta andando in onda un ampio servizio addirittura nel Tg5 [SM=g2172027]
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