Domenech: "Non siamo italiani,in Ucraina per vincere"
Ormai Raymond Domenech somiglia sempre più drammaticamente (per la Francia, s’intende) a quei personaggi che dopo prolungate frequentazioni alcoliche s’aggirano nei dintorni di bar e osterie, dispensando agli amici strampalati giudizi e oniriche previsioni. Uno che starebbe benissimo nel Bar Sport di Stefano Benni, di quelli sempre pronti a spararla grossa. Facendo, incidentalmente, viene da pensare, anche il ct, la situazione si aggrava. L’ultima l’ha regalata ieri, quando gli suggerivano che ai Bleus basterebbe un pari nella prossima trasferta di Kiev, per qualificarsi a Euro 2008: «Non siamo italiani, noi non giochiamo per il pari: in Ucraina andremo per vincere».
Non fosse stato chiaro il concetto, l’ha ripetuto: «Un dirigente italiano mi ha raccontato che loro non hanno mai vinto in Scozia. Ma partendo dal principio che un pareggio a loro può bastare, beh, se avessi cento franchi da scommettere...Un pareggio, gli italiani lo sanno fare». In campo e fuori: maestri nel catenaccio e ancor più specializzati nelle combine. Gigi Riva, capo delegazione della Nazionale, non l’ha presa benissimo: «Siamo contenti che Domenech non sia italiano, ma di un altro paese. Perchè noi avremo pure i nostri difetti, ma lui si dovrebbe fare un bell’esame di coscienza».
Far pari a Glasgow il 17 novembre, dopo la sconfitta della Scozia in Georgia, andrebbe benissimo a Roberto Donadoni, con le Far Oer in casa quattro giorni più tardi, ma l’idea di avere il pareggio nel mirino fin dall’inizio è roba rischiosa anche nei tornei estivi. «Le chiacchiere non pagano - ha spiegato Riva - e poi la Scozia ce la metterà tutta per batterci». Magari, per il ct francese, è solo paura di restare fuori: «Mette semplicemente le mani avanti - ha chiuso il dirigente azzurro - ma ora che ha cominciato, vedrete che il gallo canterà ancora».
Impareggiabile davvero, Raymond. Anche recidivo, visto che proprio per un’altra sparata di fine agosto, era stato spedito dalla Uefa a guardarsi Italia-Francia in tribuna. Quella volta, intervistato da «Le Parisien», aveva riesumato un presunto complotto del 1999, quando la sua under 21 fu stesa da quella di Marco Tardelli: avevano comprato l’arbitro, attaccò (con tempismo) Domenech. Per questo, c’era da aver paura di strane fischiate: «Temo l’arbitro», disse. S’arrabbiò pure Platini: porti le prove o verrà punito. Il simpatico tecnico, con quella faccia sempre un po’ distratta da finto intellettuale, se la rise: «Ho già comprato la cravatta per presentarmi alla Uefa». Avrebbe fatto meglio a mettere nel taschino uno straccetto di prova: una giornata di squalifica e multa di 10.000 franchi svizzeri (circa 6.000 euro). Purtroppo, fece pure proseliti, come Diarra, che per giustificare le vittorie italiane tirò in ballo «le provocazioni e l’imbroglio». Altri, tengono la testa collegata: «Adesso faremo il tifo per l’Italia», ha detto Thierry Henry.
Donadoni, a fine agosto, aveva quasi fatto finta di nulla: «Se sono agitati sono fatti loro Io ho altre preoccupazioni e non ne devo rispondere a quel che dice Domenech. Il mio pensiero è rivolto al campo, tutto il resto è coreografia e business». Continua a pensarla così, anche se il collega comincia a stare antipatico un po’ a tutti. Non lo nascose, a settembre, Marco Tardelli: «Ogni tanto Domenech dice stupidate. Lui è così, ogni tanto sparla. Sta cercando provocazioni, lo fa spesso». La lista, d’altronde, è lunga: «Le assenze di Totti e Nesta non cambiano nulla - disse - perché neppure io posso più chiamare Desailly o Fontaine». Capocannoniere dei mondiali del 1958. «Cominciasse a vincere qualcosa, prima di impicciarsi dei fatti nostri», ribattè Ranieri, di solito un gentleman. Forse, la verità sta nei versi di Conte per gli sgarbi di Bartali ai francesi: «Le balle, ancor gli girano». Tutto qui.
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