00 30/01/2017 14:09
Treviso, prima volta senza calcio al Tenni
TREVISO. Il Treviso è cerebralmente morto. Tutto quello che si annuncerà o tenterà di fare, sarà solo accanimento terapeutico. La sentenza definitiva di decesso verrà scritta fra due settimane, alla quarta rinuncia. Per un beffardo gioco del destino, lo strazio si consumerebbe al Tenni, nel match con il Sandonà. Il tempio dei momenti belli, ora diventato cimitero dei sogni. Perché ieri in via Foscolo i portoni erano chiusi, il Treviso non si è presentato per la seconda gara consecutiva, l'avversario Favaro e la terna arbitrale hanno atteso vanamente in strada. Mai si era assistito a tanto scempio, uno sprofondo senza eguali nella storia ultracentenaria del club.

Un film dell'orrore che aspetta solo la parola fine. In settimana il giudice sportivo decreterà lo 0-3 a tavolino a favore dei veneziani, comminerà un’altra penalizzazione in classifica e un'altra multa salatissima (e chi la paga?) al Treviso. E se i biancocelesti diserteranno anche i due confronti successivi, come ormai pare ineluttabile, la squadra sarà esclusa automaticamente dall'Eccellenza. Treviso come il Due Torri, il club messinese cancellato nel turno scorso dalla D. Treviso come l'altra depennata Chieti. Treviso come Rossano Veneto, ritiratasi dalla Seconda categoria. Il buio totale, il naufragio senza dignità.

Ma l'ennesimo pomeriggio surreale merita di essere raccontato momento per momento. A cominciare da quei portoni sbarrati, da quei lucchetti a impedire l'ingresso. Da quel grottesco chiacchierare della “partita che non c'è”, della “partita fantasma”. Da quel Tenni interdetto per morosità dall'amministrazione comunale. Lo stadio che ospitò Juventus e Inter, che vide esibirsi Alex Del Piero e Francesco Totti, che mise in mostra Luca Toni e Leonardo Bonucci. Del Treviso attuale, quello agonizzante di Nardin, non si è visto nessuno. Nemmeno una chiamata agli ospiti, nemmeno un magazziniere che spiegasse la situazione. Nardin non aveva però promesso che si sarebbe giocato, che non ci sarebbero state più rinunce? Non aveva raccontato di una trattativa in essere, di un roster in via di ricostruzione sul mercato di gennaio?

Il Favaro è arrivato alle 13.30, ha parcheggiato di fronte all'ingresso e allargato le braccia: avendo cambiato allenatore da un mese, aveva tanta voglia di testarsi e giocare. Ha consegnato documenti e lista agli ufficiali di gara, costretti a controllare e vidimare dal sedile dell'auto. Basiti l'arbitro Andrea Migliorini di Verona, gli assistenti Giovanni Pandolfo di Castelfranco e Fabio Salvagno di Chioggia. Per giocatori e dirigenti è stata l'occasione per una foto atipica, per qualche ragionamento sulle storture del pallone. Per qualche caffè che consentisse di digerire il logorio dei canonici 45' stabiliti dal regolamento. Dopodiché, saluti e arrivederci alla prossima.

E i tifosi? Di quelli nostalgici o con i capelli bianchi, manco l'ombra. Se si eccettua Oscar Massarin, da 30 anni gestore del bar del Tenni e speranzoso di riprenderne presto possesso. Poco dopo le 15, orario fissato per l'inizio del match, si è palesata una ventina di ultras. Vigilati da Digos e agenti di polizia, hanno issato uno striscione: «Nardin e Corvezzo via dalla città. El baon resta qua». Una stoccata agli ultimi protagonisti negativi del calcio cittadino, una frecciata al Comune che valuta di trasferire il rugby in via Foscolo. E, a suggello di tanta desolazione, tengono banco due questioni. Perché la Figc non ha rinviato il match? E perché l'amministrazione non ha aperto i cancelli almeno alla terna e al Favaro? Capiamo tutto, ma si trattava solamente di mera educazione.