00 19/10/2007 18:29
da www.emilianet.it
A due anni dalla morte di Federico Aldrovandi, il 25 settembre 2005 durante la colluttazione con quattro agenti di polizia, si è aperto a Ferrara il processo che vede imputati i quattro poliziotti intervenuti quella mattina: sono accusati di eccesso colposo per aver "cagionato o comunque concorso a cagionare il decesso", reato, come riportato dal capo di imputazione, per cui è prevista la pena dell'omicidio colposo.

Il giudice, dopo tre ore di camera di consiglio, ha deciso di non ammettere parte dei testimoni elencati dalle parti civili, in particolare gli addetti alla trascrizione delle conversazioni del 112, 113 e 118 in quanto già agli atti, e di diverse decine di residenti di via Ippodromo - dove avvenne la colluttazione - chiamati solo perché abitanti nella via o nella zona, molti non presenti quella mattina in casa, e richiesti non perché fosse stato appurato che erano in possesso di informazioni utili al dibattimento: alla fine solo 15 dei 92 abitanti della zona chiesti dalla parte civile sono rimasti nell'elenco. Si tratta, secondo l'ordinanza del giudice, solo di fonti potenziali, mai sentite nel corso delle indagini, e dunque secondo il giudice il processo non doveva diventare una "seconda fase" delle indagini. Al taglio dei testimoni così ha commentato uno dei legali di parte civile, Fabio Anselmo: "Come tecnico ritengo condivisibile la decisione, ma credo che sia corretto insistere perché vengano sentiti". L'obiettivo processuale era quello di portare qualcuno che potesse aver visto qualcosa, e che ne volesse parlare davanti al giudice in modo sereno e senza i presunti condizionamenti che la famiglia ha denunciato fin dall'inizio. La prossima udienza è stata fissata per il 29 novembre, con i testi del pm: 13 amici che erano con Federico la sera prima e sette testimoni oculari. Il calendario seguirà il 7 e il 12 dicembre, poi l'11 e il 30 gennaio.

Secondo l'accusa, in aula il pm Nicola Proto (che ha chiesto il processo per i quattro, con l'avallo del procuratore capo Severino Messina), durante l'intervento per immobilizzare Aldrovandi gli agenti ebbero con il ragazzo una violenta colluttazione, superando i limiti consentiti dalla legge. Il processo sarà davanti al giudice monocratico Francesco Maria Caruso, 55 anni, presidente della sezione penale del tribunale.
Caruso nel 2003 ha presieduto la corte d'appello di Caltanissetta nel processo per la strage di via D'Amelio in cui vennero uccisi il giudice Paolo Borsellino e la scorta. Sarà un evento per l'intera città. Il processo verrà ripreso dalla trasmissione di Rai Tre 'Un giorno in pretura'. Anche le telecamere di 'Chi l'ha visto?' sono state autorizzate ad essere presenti in aula. L'udienza sarà molto tecnica e preparatoria, e farà da 'filtro' al processo.
Verrà selezionata la lista testimoni. Le parti hanno chiesto di ascoltare oltre 300 testimoni, tra cui giornalisti, residenti del luogo in cui avvenne la tragedia, e decine di poliziotti tra cui l'ex questore Elio Graziano, chi svolse le prime indagini, e anche i poliziotti indagati per omissioni d'atti d'ufficio e falsi nell'inchiesta bis (tuttora in corso) sui presunti inquinamenti e ritardi nella trasmissione di atti nella prima fase dell'indagine sulla morte di Federico. Indagine quasi ferma per i primi quattro mesi e che entrò nel vivo solo dopo che la madre del ragazzo, Patrizia Moretti, aprì un blog (federicoaldrovandi.blog.kataweb.it) che deflagrò a livello nazionale. In quesi due anni del caso si sono interessate le massime autorità dello Stato, dal presidente della Camera Bertinotti, ai ministri
Amato, Mastella fino al presidente Napolitano.

GENITORI: LOTTIAMO PER VERITA'
Saranno in prima fila, per reclamare, ancora, la verità su cosa sia realmente successo quella mattina a loro Federico.
"Finalmente siamo al processo, ed è solo l'inizio per arrivare alla verità: spero sia fatta finalmente chiarezza su tutto e che i testimoni che abbiamo chiamato a deporre in aula non risentano dei 'blocchi' avuti in tutto questo tempo". Patrizia Moretti, la madre di Federico Aldrovandi, morto in un intervento di polizia a Ferrara, per due anni ha lottato assieme al padre del ragazzo, Lino. "Spero che davanti al giudice siano disposti a parlare, che dicano quello che hanno visto", ha detto. "Io non ho mai chiuso la porta - ha aggiunto Lino, agente di polizia anche lui, figlio di un carabiniere - a quei quattro poliziotti: sarebbero dovuti venire a casa mia, spiegarmi, non l'hanno fatto.
E dico loro: se il figlio fosse stato il vostro ed io uno di voi, e mi fossi comportato nella vostra identica maniera, avreste creduto alle mie (vostre) inconcepibili e contraddittorie relazioni di servizio, o avreste preteso (anche voi) chiarimenti chiari ed inequivocabili. E' quello che sto chiedendo da 740 giorni. Nient'altro". E alla fine papà Lino si rivolge "a coloro che vorranno essere al processo: mi sembra superfluo dirlo, ma dovranno avere rispetto del tribunale e di chi sarà in aula".

GLI AGENTI DI POLIZIA: IL NOSTRO COMPORTAMENTO FU CORRETTO
Non avevano mai parlato, finora si erano limitati a spiegare il loro operato tramite le relazioni di servizio di quella mattina del 25 settembre 2005. Poi si sono avvalsi sempre della facolta' di non rispondere, ma oggi, all' apertura del processo, i quattro agenti di polizia imputati per la morte di Federico Aldrovandi hanno rilasciato dichiarazioni spontanee davanti al giudice monocratico di Ferrara Francesco Maria Caruso. "Sentiamo il dovere di riservare le prime parole pronunciate a questo processo ai familiari di Federico Aldrovandi - hanno esordito - Comprendiamo e condividiamo il loro dolore per la morte del figlio, nel contempo riaffermiamo con serena fermezza la convinzione della piena correttezza del comportamento da noi tenuto quella tragica mattina. Siamo certi che il dibattimento che oggi si è aperto saprà dimostrarlo, fugando tutte le ombre che sono state sollevate nei nostri confronti in questi due anni di calvario giudiziario". In aula c'erano la mamma di Federico, Patrizia, il papà Lino, il fratello e altri parenti. I genitori hanno commentato le parole degli agenti definendole "ipocrite e prive d'anima". "Dopo due anni di silenzio - ha aggiunto Patrizia Moretti - trovo questa dichiarazione offensiva nei nostri riguardi. Non la accetto". La mamma di Federico ha anche criticato la presenza in aula di rappresentanti dei sindacati di Polizia, giudicandola "un'ingerenza intimidatoria nei confronti del procedimento". Immediata la replica dei sindacati Siulp, Sap e Fsp, che in una dichiarazione congiunta hanno sottolineato che "é una polemica in cui non vogliamo entrare, noi eravamo presenti solo per il sostegno morale ai nostri colleghi: siamo stati sorpresi e soddisfatti dalle dichiarazioni spontanee fatte dagli agenti e ci è sembrata la scelta più giusta"
[Modificato da enricotv 19/10/2007 21:09]

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