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Un Frandoli furioso chiede il reintegro e accusa: «Calunnie»

Calcio Treviso in Eccellenza. Non aveva sottoscritto le quote Totera: «Rientro impossibile. Il resto? Attendiamo le prove»

E’ dunque scoppiata la guerra fra Walter Frandoli e l’Acd Treviso. La vicenda parte dall’estromissione di Frandoli dalla società biancoceleste, deliberata dall’assemblea del 2 settembre e motivata dal fatto di essere stato l’unico a rifiutarsi, fra i soci, di versare una quota societaria. Frandoli ha emesso un comunicato in cui ritiene illegittima la sua esclusione in cui si legge: «Ho dato incarico al mio legale di procedere con la denuncia della lite e l’instaurazione del giudizio arbitrale per il suo annullamento».
Non è tutto. Frandoli minaccia di adire a vie penali perché qualcuno, non meglio identificato, «con comunicazioni telefoniche documentate ha gettato discredito sul mio operato all’interno della società addirittura paventando una indebita appropriazione da parte mia delle somme raccolte con sacrificio ed impegno dagli sponsor locali». Infine Frandoli rivela che nelle ultime settimane ha cercato di riavvicinarsi al Treviso tramite «l’ingresso di imprenditori fortemente interessati alla nostra squadra, ricevendo una secca e piccata risposta negativa da parte del presidente». La replica è affidata proprio a Marcello Totera, presidente. «Frandoli invoca l’annullamento di un provvedimento deciso all’unanimità due mesi fa: impossibile. Che figura farebbe la società? Invece vogliamo essere coerenti con ciò che avevamo stabilito e che fra l‘altro prevede il nostro statuto: confermo che in quella riunione, tenuta nel mio studio per discutere di una situazione debitoria più pesante del previsto, lui fu l’unico a rifiutarsi di mettere un euro, fra l’altro alzandosi ed andandosene in malo modo. Inoltre, mi chiedo come si pretenda di essere reintegrati dopo tutto quello che è successo fra noi e lui». E a Frandoli che accusa di averlo diffamato: «Sono allibito, mi chiedo come e da chi. Se ha le prove di quanto afferma lo dimostri, altrimenti a quel punto potremmo agire noi per tutelare la nostra onorabilità».