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Zolle del Tenni, quanto mi avete inebriato

I ragazzi di Corvezzo e Zanin eredi di un passato indimenticabile


di Prando Prandi

Ci siamo: domenica prossima il Treviso esordisce per la prima partita tra le mura amiche in quello che per tutti è il campionato del rilancio. Un torneo che nei sogni dei tifosi biancocelesti e nei programmi dei dirigenti vuol essere una specie di trampolino di lancio verso una dimensione ancor più consona al blasone di una società dal passato glorioso. Un manipolo di ottimi giocatori, un allenatore che sa dove vuole arrivare e come gestire il gruppo, una società che vuol puntellare la propria crescita oltre che sui risultati agonistici anche sul patrimonio umano nel club, in sede, nel vivaio ma soprattutto sull'entusiasmo di tutti, rappresentano i concreti presupposti per un'altra galoppata in vetta alla classifica. Come accaduto l'anno scorso. E' possibile, basta non accontentarsi dei sogni... Il Treviso torna a calcare ufficialmente le zolle del Tenni in un campionato professionistico, gettandosi definitivamente alle spalle un passato remoto gestionalmente disastroso, la seguente difficile ricostruzione, l'euforia recente di una franca promozione. Torna nel suo «tempio» per cercare punti ma soprattutto ritrovare il proprio pubblico. Augurandosi che le famiglie ed i veri appassionati del «baeòn», di settimana in settimana, siano più numerosi sulle scalee del vecchio stadio, riassaporino il gusto del bel gioco, dell'evento sportivo che mescola all'agonismo sempre emozioni forti. Il Tenni nella sua vetustà rimane il punto di riferimento di una vecchia generazione che vi ha visto giocare nomi entrati nella leggenda del calcio nostrano: Moro, Nicoletti, Raul Bortoletto, Grosso. Tanti da quel lontano 1933, quando il Comunale venne inaugurato. Nell'èra «di mezzo», gli anni '50, il Treviso di Magistrelli, Mantovani e poi la squadra di Nereo Rocco, quella delle «magie» di Giordano Persi, di Vascellari, Realini, Pantaleoni. Ognuno ha nel cuore un «suo» Treviso: io ho quello delle mie prime domeniche da «aspirante giornalista»,
quando la squadra di Manente scendeva in campo dopo una lunga filastrocca di nomi che non dimenticherò e che riecheggia come una melodia ancor oggi, ogni volta che vado allo stadio. Gioivo alle prodezze di Galtarossa, strabuzzavo gli occhi di fronte ai plastici voli di Leandro Casagrande, mi rassicuravano le perentorie entrate di «Botte» D'Andrea, per spazzar via ogni pericolo. Negli anni successivi mi attiravano allo stadio i diabolici gol di Goffi, gli imperiosi disimpegni di Alberti, le invenzioni di Zambianchi. Sembra preistoria! Ma il cuore batteva forte e quando, tra un tempo e l'altro con le venti lire in tasca, abbordavo i «caramei» del carrettino del parterre, mi inebriava il profumo sottile della canfora, scrutando da vicino quei magici profili. Il Tenni era il posto delle mie domeniche pomeriggio. Come per migliaia di trevigiani, che non conoscevano allora le gioie del basket e del grande rugby, del volley e di tutto ciò che venne dopo. Quel calcio istintivo ma «grande», al di là dei risultati, si trasformò radicalmente nei decenni successivi in una scansione temporale contraddistinta dal succedersi dei presidenti: Mansi, Zoppè, Archiutti, Palla, Zanini, vado alla rinfusa... Tante storie, tutte al Tenni. Poi l'avvento di Caberlotto, la meravigliosa speranza (e per qualche stagione splendida realtà) di una grande avventura ed una grande società, poi disintegratasi contro un camion. Fu una scintilla. Poi fu un incendio che bruciò buon senso e milioni. La serie A fu una farsa, l'ultima serie B un patimento. Il vecchio Comunale fu il triste palcoscenico di un dramma. Ma domenica comincia una nuova avventura. Stessa passione, stesso stadio: auguri ragazzi!
8 settembre 2011