La Tribuna di Treviso
Addio United Sport, non è più tempo
Ottoni (Coni): «Cambiate le condizioni. E non è detto che sia un male»
di Antonio Frigo
«E' inutile cercare un'altra Benetton. Sono cambiate le condizioni, non esistono più le motivazioni per cui, trent'anni fa, la famiglia di Ponzano s'impegnò nello sport. Esistono nuovi imprenditori emergenti, ma non esistono più le ragioni per impegnarsi nello sport d'eccellenza in quel modo. Assosport? Tutti parlano di "fare rete", ma poi la tendenza è metterci il cappello».
Giovanni Ottoni, presidente provinciale del Coni, analizza la situazione e il futuro dello sport trevigiano alla luce dell'annuncio di doppia dismissione (basket e volley: resterà per ora il rugby) dal 2012 da parte della famiglia Benetton, che finora, anche con il marchio Sisley, aveva egemonizzato lo sport d'eccellenza in città.
La sua analisi può anche sembrare triste, ma attenzione: Ottoni invita a guardare a ciò che sta succedendo come a «una occasione», a un «bicchiere mezzo pieno». Un modo, insomma, per riportare il lessico dello sport trevigiano a termini meno stratosferici e, per questo, più sentiti come «propri» dalla gente.
La monocultura biancoverde, come tutte le monoculture, era un rischio. Non si poteva immaginare e quindi evitare l'attuale sconcerto? Basket, volley e rugby di Serie A: offerta troppo impegnativa per il portafogli del pubblico trevigiano?
«I sintomi c'erano: quando è sorto il parco giochi in Ghirada già s'è intuita la piega. Ma a Treviso la tendenza è stare alla finestra e sperare, irrazionalmente, che tutto resti come prima. Invece, ormai, la pallacanestro di vertice comporta un impegno finanziario quasi pari al calcio, il volley maschile sta implodendo anche sul territorio, a vantaggio di quello femminile, e il rugby a livello di campionato italiano lasciava il Monigo vuoto. Quando i Benetton iniziarono il loro impegno, la provincia era un fiorire dei loro laboratori e gli stipendi che giravano nelle case erano molti più di quelli di oggi...».
La crisi economica può spiegare tutto?
«Incide per lo sport di vertice più che per lo sport di base. E il pubblico non regge l'impatto di un'offerta di spettacolo così "alta". Inoltre siamo a Treviso: due anni fa, per la semifinale di volley c'erano 200 persone al Palaverde. Poi per la finale c'è stato il pienone, ma come d'estate si riempiono i tavoli della pizzeria in piazza: bisogna mostrare di esserci».
L'iniziativa di Assosport ha un futuro?
«Mi ricorda il pool di imprenditori che quest'anno, dopo il passo indietro della Zoppas, sostengono il volley femminile a Conegliano. Ma lì c'è anche una forte spinta della piazza, una volontà di affermare un'identità locale e un particolare fenomeno di pubblico. Tant'è vero che per fare arrivare la Gioli, che ci tiene a dire che la scelta è stata sua, si muove a metà stagione uno sponsor supplementare. Questo si può ripetere a Treviso, città molto più fredda? Davvero qualcuno, qui, se ne resterebbe nell'ombra a vantaggio della società sportiva, rinunciando a metterci il cappello?».
Questa svolta, per assurdo, potrebbe essere un'occasione per cambiare lo sport trevigiano?
«Non è escluso. Lungi dal rendere negativo un fenomeno, quello dello sport d'eccellenza targato Benetton, che per la città è stato un lusso e un vanto, si potrebbe guardare al... bicchiere mezzo pieno. Potremmo avere imparato che aspettare qualcuno che scende dal cielo non è l'unico modo per far sport in città. E l'assenza degli squadroni Benetton potrebbe togliere un tappo e liberare tante energie positive e tante piccole realtà sportive».
Addio allo sport da guardare, largo allo sport da praticare?
«Non è così, perché lo sport praticato si nutre di mito, ovvero dello spettacolo sportivo d'alto livello. A Treviso si è continuato a fare molto sport, anche amatoriale, nonostante la (allora) novità delle squadre benettoniane. E con il calare dei loro risultati, da un decennio, quella pratica si è rinforzata. Contemporaneamente si riempie la Zoppas Arena per una Spes percepita come "dei tifosi". Lì gli sponsor sostengono la squadra senza esserne proprietari. Rispetto alla Benetton di vent'anni fa, è la squadra e non la società-proprietà ad essere baricentrica».
L'effetto "stappo" riguarderà anche lo sport giovanile?
«Capisco la domanda e rispondo sì. Con le squadre benettoniane a fare da polo di attrazione, c'era poco stimolo a investire in altre società e altri vivai. Ora anche lo "sport per i giovani" in Ghirada sarà un'altra cosa: una bella opportunità, una scommessa sul sociale».
E la città per chi farà il tifo, se perderà volley e basket in Serie A?
«Io parlo della Marca, non del capoluogo. La Marca è una realtà policentrica e polisportiva piena di fermenti e di sorprese. A Bergamo sì hanno solo l'Atalanta o quasi. Noi no. Per fortuna».